ROSY MANTOVANI ..sono e rimangono pur sempre dei meravigliosi fiori cresciuti nelle distese di asfalto
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RESURRECTIO

RESURRECTIO - ROSY MANTOVANI

Questa nuova opera, perché di nuovo si tratta, ha la potenza della rivisitazione di sé stessa. Parte da dentro e condensa anni di rinnovamento, collega la strada del prima a quella del dopo, del presente. Rosy Mantovani aveva già espresso un pensiero potentissimo dando vita e umana presenza al cristo- uomo, oggi lo rivede ripercorrendo l’idea arricchita dallo spazio tempo intercorso tra la prima opera e la seconda.

Le differenze sono sostanziali, se nella prima versione vediamo l’uomo-cristo nel dettaglio, estremamente umano in un contesto di disfacimento architettonico espresso anch’esso nei minimi dettagli in questa seconda visione quel cristo-uomo è assurto ad una nuova dimensione. L’immagine sembra sfaldarsi, fondersi con lo spazio anch’esso indefinito, ridotto a scheletro del passato. Il cristo-uomo non più materia diventa suggerimento, veste e si fa portatore dell’inconsistenza dell’umana esistenza, della vacuità che sembra caratterizzare la società contemporanea, ancora simbolo di colui che prende su di sé i mali dell’uomo. Sembra svanire nella luce, essere egli stesso luce.

Questa nuova versione esalta il percorso dell’artista, Rosi Mantovani dimostra come il percorso artistico sia sempre in movimento, uguale e diverso da sé stesso, scava nel suo profondo per esprimere ciò che il tempo ha costruito e sedimentato sul piano della riflessione più intima, l’artista ha il coraggio di rinnovarsi, attenta ai cambiamenti, ponendosi in ascolto con tutti i sensi e rimandandoli all’esterno sempre con puntuale attenzione ai temi sociali e umani.

Testo critico a cura di Stefania Maggiulli Alfieri

CROCIFISSIONE

CROCIFISSIONE - ROSY MANTOVANI

Il realismo onirico di Rosy Mantovani parla dell'uomo attraverso l'uomo, ad esso affida un messaggio universale di umanità in conflitto con sè stessa, nella costante ricerca del sè profondo. La formula coinvolge lo spettatore spingendolo a cercare risposte in sè stesso.

In quest'opera, sulla scorta della storia, ricordiamo Donatello, il Cristo è uomo comune, il contorno parla esso stesso di storia passata, vissuta, descrive un presente in disfacimento, testimone del tutto che scorre e cambia  pur restando, nella semantica concettuale, sè stesso, quì il Cristo-uomo, sdoganato dal peso della croce-materia può elevarsi ai più alti livelli di spiritualità, concependo il miracolo del tutto in eterno divenire.

Testo a cura diStefania Maggiulli Alfieri

FIORI DELL'ANIMA

FIORI DELL'ANIMA - ROSY MANTOVANI

L’evoluzione contenutistica e l’espressione di un artista seguono, talvolta,  i percorsi più imprevisti, inimmaginabili e improvvisi, pur costituendo e mantenendo saldo il legame con i principi fondamentali che caratterizzano l’insieme della produzione.Nella serie “le Bambine” Mantovani delinea un percorso facendo leva sul profondo, scava tra le angosce personali e interpreta una visione del mondo senza sconti, senza veli e inutili orpelli.Sono, queste, opere che imprimono impronte profonde nella coscienza di chi vi si trova davanti, l’occhio cerca particolari che possano lenire la sensazione di disequilibrio momentaneo che si crea nella coscienza, si intuisce subito che quelle “creature” non sono semplici ritratti, ma hanno funzione di specchio, di rimando emotivo, di atto d’accusa.L’infanzia è argomento con forte presa emotiva, la si vorrebbe sempre avvolta da serenità e bellezza, sollecita senso di tenerezza e protezione, ma l’artista ne mette a nudo verità scomode, usa l’immagine icona dell’infanzia contestualizzandola in un ambiente crudo, inospitale, in qualche modo claustrofobico. Non sorridono le bambine, lo sguardo è , a tratti, assente, rimarcano nella genuinità il senso di impotenza che può cogliere chiunque, spinge a cercarne le ragioni nelle pieghe dei chiaroscuri, negli ambienti accennati suggerti.L’operazione artistica risulta altamente efficace, scuote le certezze creando crepe, mette in luce una società senza futuro e sempre più spesso anestetizzata ai problemi comuni, cieca di fronte al dramma, ecco dunque i soggetti assumere valore iconico, non più l’infanzia simbolo ma la società provata dall’anelito di potersi proiettare verso il domani. Sono presenze – assenze che abitano lo spazio pittorico, appaiono di passaggio, hanno la consistenza dei pensieri e la morbidezza della malinconia.La scelta del monocromatico accentua la dimensione onirica, l’impressione mobile della memoria, una memoria che l’artista vuole collettiva, un invito ad uscire dal torpore e agire.In queste opere ognuno può ritrovare se stesso e riconoscere le criticità dell’uomo contemporaneo.Un invito a riflettere sulle infinite possibilità e responsabilità che ognuno ha nei confronti dell’ambiente fisico e sociale nel quale vive, qui rappresentato come infanzia negata.

Testo critico a cura di Stefania Maggiulli Alfieri

SOGNATE PARVENZE DEL REALE

SOGNATE PARVENZE DEL REALE - ROSY MANTOVANI

Se nel romanzo di Andrè Malraux è la morte a essere presupposta, neppure tanto velatamente, la condizione umana che Rosy Mantovani fa trasparire dalle sue opere racconta se mai la solitudine, viepiù rimarcata da una moderna comunicazione tuttora ardua malgrado le tecnologie a disposizione. La ferrosa realtà urbana – come sottolinea in una nota critica Emanuela Fortuna – emerge non solo negli scorci fuggenti fra strade desolate, dismessi macchinari e fantasmi di ciminiere; essa viene a ricoprire, quale vago substrato onirico, perfino la sintesi progressiva dei volti magistralmente dipinti e per certi versi sconsacrati dall’artista lombarda. Caligini biancovestite, lise coltri ragnate di bruma industriale, dalle quali lo sguardo però si inerpica addolcito dall’eleganza del segno grafico in tutta la sua forza animale e animistica. Il tutto proteso a risolvere ritratti avvolti, per quanto sia possibile, da una screziata luccicanza di umbratili monocromie. Quasi un duplice ossimoro atto a ulteriormente definire le direzioni concordi o inverse di una precisa espressione visiva.

Testo critico a cura di Norman Zoia

I CONTENUTI - LA CIFRA STILISTICA

I CONTENUTI - LA CIFRA STILISTICA - ROSY MANTOVANI

Un colore che si scioglie in emozione, uno sguardo che esprime un universo interiore, due occhi dalla bellezza infinita che manifestano una coraggiosa risposta allo sconforto, una città che diventa proiezione della condizione esistenziale contemporanea, luoghi abbandonati che sono metafora della desolazione e dell’afflizione… un’artista che empaticamente ascolta e racconta un rumoroso silenzio sociale e che al contempo sa estrarre la bellezza dal cemento e dall’asfalto. Rosy Mantovani dipinge, con grande sensibilità, la condizione umana odierna fatta di molta solitudine e di difficoltà di comunicazione. È una situazione paradossale perché proprio quando il mondo civile si è globalizzato, accorciando ogni distanza fisica e culturale, e si è unito in un’unica rete, attraverso i mass media ed i social networks, qualcosa è stato smarrito o, peggio, è andato perduto: l’essenza dell’umanità e la possibilità di condividere in concreto la propria esistenza. Si vive circondati dal caos del mondo ma si finisce per essere rinchiusi, come in una gabbia, nella prigionia di un IO che non trova modo di vivere come NOI. Il mito del progresso e la nuova religione del lusso e del divertimento lasciano dunque il campo al senso di una desolata e malinconica solitudine, alla depressione di fronte all’impossibilità di una vera comunicazione e condivisione e dunque al disinganno. Un’incomunicabilità che l’artista ritrae nei suoi personaggi: sempre in primo piano, sono gli unici attori in questo spaccato dell’esistenza, sono i soli protagonisti di un racconto emozionale perché non c’è nessuno accanto a loro che ascolti l’urlo della loro anima. Mantovani li ritrae completamente immersi nei loro pensieri, dimenticando ciò che gli accade attorno. Non ne sono partecipi, ne sono esclusi o forse se ne escludono perché impegnati a guardarsi dentro per capirsi. Accovacciate su un binario della stazione, in cammino lungo una via trafficata, girovagando tra le luci e le assordanti macchine del luna park, le sue figure sono sole, con lo sguardo altrove che non vuole incontrare l’attenzione e l’interesse di altri. Mentre tutto attorno è movimento e rumore, i suoi personaggi si muovono con un altro ritmo e con un altro tempo: il loro ritmo e tempo interiori, di un pensiero che scivola lento e profondo. Sono Attimi, sono un percorso continui di ricerca. In questo cammino verso la consapevolezza inizia la riscossa delle loro esistenze. Ne nasce una bellezza interiore e dunque una grazia esteriore, i suoi protagonisti diventano Fiori di strada. In quelle periferie desolate o rumorose, sudice o abbandonate si accende la bellezza degli sguardi di chi non demorde, di chi combatte… e forse vincerà. Non c’è compiacimento per la bellezza di questi volti e di questi corpi. C’è empatia. E infine ecco che si riscopre la bellezza della vita. È la possanza della resilienza. È un viaggio che ognuno di noi compie in se stesso. È il pensiero che domina questo mondo che, nello sforzo di raggiungere una consapevolezza e di ritrovare le forze per resistere, sembra perdere il colore. Una cromia selezionata e parca non ci distrae. Solo la figura è a fuoco, perché si è messa a fuoco. Il contesto si scioglie nell’emozione, si sfalda come uno sfondo perso nelle lacrime. Sono lacrime di colore che scivolano sulla tela come lacrime nascoste che urlano al mondo. Noi le dobbiamo ascoltare come l’artista. L’attenzione dell’artista si sposta infine puntandosi su quegli occhi, sullo sguardo, finestre dell’anima. Scompare lo sfondo, scompare la città, scompare il mondo, fino a che rimangono solo il volto e i pensieri. Sono i Ritratti. La materia sporca della città, della realtà urbana ferrosa è sempre presente, è la cortina da cui emergono con forza. L’impostazione dell’opera si semplifica ma si potenza la forza espressiva.

Testo critico a cura di Emanuela Fortuna

da RESILIENZE I Fiori dell'Anima

LA CIFRA STILISTICA

LA CIFRA STILISTICA - ROSY MANTOVANI

Esiste una dimensione identitaria del volto, l’insieme di tratti che rendono ciascuna fisionomia unica e riconoscibile. Ma esiste anche la capacità del volto di elevarsi a simbolo nell’arte di significati che trascendono il singolo individuo per conquistare un valore condiviso. Nell’opera di Rosy Mantovani, questo secondo aspetto giustifica il tramutarsi delle fisionomie femminili in immagini che pur richiamando, anche nel titolo, il genere del ritratto, non identificano una persona in particolare ma suggeriscono – attraverso un percorso visivo che integra tra loro in maniera corale tutti i dipinti dello stesso ciclo – il progressivo dipanarsi allo sguardo di metamorfosi interiori che trasformano il volto in un’intensa quanto fragile apparizione. Come nella celebre tautologia di Gertrude Stein “una rosa è una rosa è una rosa”, in cui la ripetizione della stessa parola fa sì che questa si carichi ogni volta di nuovi significati che la parola “rosa” da sola non contiene, allo stesso modo, osservando queste figure, potremmo dire che “un volto è un volto è un volto”, nella misura in cui ogni ritratto si lega all’altro e al contempo se ne differenzia rimarcando la distanza che divide identità e alterità. Se l’arte offre la possibilità di vedere con occhi nuovi aspetti della realtà già conosciuti, allora quelli raffigurati non sono più soltanto volti di donne che la pittrice ha immortalato cogliendone le differenti caratteristiche, ma diventano anche trascrizioni visive di concetti astratti – grazia, malinconia, solitudine, fierezza – che declinano il femminile, e più in generale l’animo umano, in una chiave universale. In altre parole, “un volto è un volto” ma è anche ciò che in quegli occhi, in quell’espressione indecifrabile, in quel sorriso mancato vogliamo e riusciamo a vedere, facendoci guidare dagli indizi che il Ritratto, colore, con le proprie diluizioni e densità, è in grado di suggerire. Per un artista, cercare di capire cosa si nasconda dietro il mistero del volto che ha davanti non è cosa poi così diversa dall’ostinazione che lo spinge a tentare di comprendere cosa ci celi dietro il mistero della pittura. Nel caso di Rosy Mantovani, entrambe le esperienze convivono nello spazio neutro della tela generando una tensione tra l’elemento figurale, qui inteso non solo come rappresentazione di un dato reale ma in senso pittorico anche come forma dai contorni misurabili, e la materia cromatica, che richiama invece la dimensione intangibile e illimitata dell’astrazione. A ben guardare, quello che potrebbe sembrare un combattimento tra due codici espressivi, ovvero figurazione e pittura informale, si rivela essere invece un armonico dialogo tra forma e colore, che si integrano l’un l’altra fino a creare un “corpo” unico e indivisibile, una fusione/sparizione della figura nella materia cromatica e viceversa. È un aggiungere spessore poetico all’immagine sottraendo dettagli inessenziali, dissolvendo i contorni, alternando alla fissità ieratica dei volti il dinamismo della stesura pittorica, all’evanescenza luminosa della figura – spesso rimarcata dall’applicazione di garze – i toni bruni e terrosi di macchie e colature. La stessa dialettica tra opposti contraddistingue la serie Fiori dell’anima, nella quale compito del colore non è più quello di stabilire un equilibrio visivo e di significato tra figurativo ed astratto, quanto invece di accentuare la condizione di giovani donne intrappolate all'interno di paesaggi distopici, periferie desolate la cui sola speranza è rappresentata dall'innocenza di queste figure. Hanno sguardi che interrogano l’osservatore mostrandogli una via di uscita da questi luoghi emblema di abbandono ed alienazione, veri e propri inferni urbani creati dall’uomo contro l’uomo. Il loro candore indica una possibilità di rinascita per il mondo, un riscatto che può compiersi restituendo importanza a valori ormai perduti, come fiori estinti che rivivono all’alba di un nuovo giorno.

Testo critico a cura di Daniela Pronestì